venerdì 4 gennaio 2013

Sii la luce







Ancora vicina, silenziosa. Gli occhi puntati sempre nei miei, anzi sembrano fusi in essi come il riflesso nell’acqua mentre il viso ne trapassa la superficie. Oppure fusi come quella nebbia, che seppur con un po’ di fatica, riesce ad attraversare le fronde cinguettanti della sentinella prima dell’orizzonte straniero.

“L’alba! Sii la luce del mio ritorno.”

Lascio che quest’alba si illumini in me, che torni ad emanare una di quelle volte piacevoli e chiare, dove tutto ha un senso che non importa quale. Tutto semplicemente rinasce in una semplice complessità coerente, come volta molteplice di unificazione con il resto.

Le gocce di quel riflesso e di quell’umida nebbia, scivolano a prendere nuovamente posto accanto a me in sala comando, mentre mi immergo nell’idea di un caffè come rito iniziatico per la nuova giornata.

Come una preghiera il rituale a disporre un segno d’amore e di rispetto, ma soprattutto di ringraziamento. Il buongiorno a mia madre è pronto in attesa del suo risveglio.

Presente nel mio Sé posso misurare ogni gesto, riempiendolo di una sacralità che potrebbe sembrare vana.

Non penso alle altre volte. Anche il sacco di iuta a maglia larga è abbandonato non so neppure dove. Abbandonato con il suo carico. Smarrito fino alla prossima improvvisa riapparizione. Non mi interessa saperlo, dimentico delle altre volte… questa volta è questa volta.

Torno a far ordine tra quelle idee sperdute negli universi a quadretti, dove varie grafie sussurrano brama, impazienza, studio, curiosità, bastonate, assenza di gravità.

Anche se reali nella scrittura, fulminate nella mente in quegli attimi, incise come ferite nella carne, nel cuore e nell’anima, nella lettura e nella catalogazione sono fredde e staccate, quasi non mie.

“Va bene se riordino?”

Puoi fare tutto quello che vuoi, non c’è limite alla tua libertà. Le cose che ti servono sono già tutte lì, fai la tua scelta. Va benissimo qualsiasi cosa che scegli di fare e di sperimentare.”

Mi soffermo su parole quasi  illeggibili, sciolte dall’umore salato dei miei occhi di un’altra volta.

Da dove arriva la tristezza, la sofferenza emotiva?”

Dall’illusione di subire le cose, ma a volte anche semplicemente dal volerle sperimentare e basta.”

“Mi sento bene ascoltandoti, le cose che mi dici sono molto chiare, dolci e profonde.”

“Sei tu che dici queste cose.”

“No… no… Io non le sapevo.”

“Certo che le sai, da sempre! Le avevi solo dimenticate.”

Confuso, incredulo, di nuovo in equilibrio, sorretto solo dal sibilo degli emisferi… appoggiato a quella sfera di roccia galleggiante mentre nuovamente osservo verso l’alto la curva che rende domanda ciò che mi aspettavo risposta. Quelle tante domande, nuovamente unite a dare un peso incredibilmente insopportabile a quella particolare domanda che non vuole uscire, che non vuole essere detta.

Non potendo trattenere oltre quel respiro prigioniero negli alveoli continuo….

“No… sei tu che me le stai dicendo.”

“Al tuo posto non ne sarei molto sicuro.”

“Perché? Stai forse dicendo che mi sto immaginando tutto?”

“Se così fosse? Sarebbero queste esperienze prive di significato?”

“Come posso sapere?”

“Prendi una capra, vai sul monte, sgozzala e sacrificala in mio nome su di una pira di alloro.”

“Dici sul serio?”

“…”

Sorrido, anzi, rido per questa mia stupida domanda…

“Fede! Abbi fede in te prima di tutto. Se non hai fede in te in cosa potresti mai credere?”

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