venerdì 4 gennaio 2013

Tra il quattordici ed il quindici







Tutto quel tempo a ricercare dentro e fuori, osservare, immaginare, pensare. Tempo che sembra eterno. Non sai dire da quando esattamente, non sai dire fino a quando esattamente. Sai solo che sembra non abbia mai fine.

A volte deluso, come quando a certi appuntamenti aspetti e aspetti, e mentre aspetti immagini ora che vada tutto bene, ora che invece qualcosa non vada per il verso dritto… un’altra fregatura, un’altra delusione, così al prossimo ti presenti nuovamente pronto ad accettare il responso, qualunque esso sia, ma non demordi.

Dov’è quello schermo che ti mostra il film che hai scelto? Quello spettacolo che ti coinvolge facendoti girar la testa come ubriaco d’arte?

E continui a ricercare, dentro e fuori, osservare, immaginare e pensare.

Io Sono.

Due parole. Ti fermi. Smetti di cercare, dentro e fuori, di osservare, immaginare e pensare.

Due parole ed è tutto lì, improvviso, con quel tempismo che sceglie il chiodo che sorregge un quadro. Quel quadro che cade nella storia di Novecento, con quel suo suono inconfondibile: Fram!.

Torni però a riappenderlo quel quadro. Lo riappendi sperando che ricada. Il momento della caduta è irripetibile. Una scossa che attira nella tua mente tutto ciò che hai cercato dentro e fuori, che hai osservato, immaginato e pensato.

Ma quello non ricade. Solo in alcuni giorni lo stacchi tu dalla parete, così puoi pulirlo meglio. Ma staccato da quello sfondo non è così bello. Staccarlo e riattaccarlo. Continui a sperare che una volta, improvviso ricada da solo perché anche il nuovo chiodo ha scelto di non sorreggerlo più.

Continui a chiederti cosa l’abbia fatto cadere ed è come sbattere la testa contro quell’enorme punto interrogativo di pietra.

Cade perché deve cadere. Ma non è certo che debba farlo, non è giusto che cada, non è preciso il momento in cui cade.

Che non si può parlare di certo, di giusto e di preciso, come quel P greco che approssimatizza in difetto una cifra come il tre e quattordici, perché dopo il quattordici c’è ancora il centocinquantanove... e non solo, e perché dopo ci sono ancora più di centomila cifre. L’incredibile cifra esatta è lì, da qualche parte tra il quattordici ed il quindici, come a dire che la perfezione non ha importanza, come a dire che tutto è perfetto tranne che la relazione tra le misure di un cerchio, quel cerchio sul quale è costruita la vita stessa.

Io Sono.

Certo, potrebbe anche essere “Io Mangio”, ma non è lo stesso.

“Io sono”

Lo ripeti ad ogni respiro.

“Io”, che riempie i polmoni a far sentire me stesso attorno a questo Io che vivifica ogni cellula. Poi espiri il “sono”, e ti vedi manifestato, realizzato, presente sia dentro che fuori, anche se dentro e fuori forse non sono dove credi che siano.

“Ma chi sono?”

Eh già! Ma “Chi sono?” o forse anche “cosa sono”, o “cosa faccio”…

Ma certo: io sono un pensiero. Un pensiero che nasce per creare ciò che ritiene reale.

Io sono!

Tutta la mia esistenza è lo spazio tra queste due parole. L’io esistenziale che passa allo stato di essere creato.

Allungo il respiro per assistere a questo passaggio, a questa trasmutazione. L’Io in introspezione… il sono in fusione con il tutto, il Sé che li contiene…

“Ma allora io sono il Sé… e se io sono il Sé come pensiero nato per creare, chi è “Io Sono”? E tu chi sei?”

“Tu sei “l’io sono” del Sé, e io sono esattamente chi vuoi che io sia. Sono ciò che hai chiamato e che continui a chiamare.”

“Ma io ti vedo. Non chiaramente ma ti vedo… beh, forse ti immagino più che vederti.”

“Hai detto bene: mi immagini. Ma perché mi immagini con tratti maschili e parli di me al femminile?”

“Ho dovuto rileggermi, hai ragione, parlo di te al femminile in quanto sei una presenza, ma tu sei un essere maschile?”

“Credi ci sia differenza? Una differenza tra maschile e femminile dipende esclusivamente da quale ti può servire al momento. Vuoi una figura materna? Sono femminile. Vuoi una figura paterna? Sono maschile. Vuoi un’amica? Vuoi un amante? Decidi tu…”

Sono io a darle o a dargli una forma. Sono io che immagino l’espressione di un volto nascere da una inusuale profondità di percezione. Sono io ad appesantire questo Essere di esperienze e significati. Per questo lo ricopro di saggezza, di amore e discernimento. Lo posso riempire di ciò che voglio.

“Sei un Essere buono comunque…”

“Sono buono perché è così che mi vuoi; posso anche essere cattivo, ma probabilmente lì non ti piacerei proprio…”

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